Comunicato 2 maggio 1997

CHE COSA SUCCEDE ALLA TORRE?

In 3 anni di occupazione e autogestione il Csoa La Torre ha promosso iniziative di carattere culturale, sociale e politico di diverse nature, tese a soddisfare bisogni troppo spesso trascurati, e più in generale, a fornire la possibilità di una lettura diversa dell’esistente. Obiettivo primario era rompere il sistema della mercificazione della socialità, mantenendo i costi delle varie attività sempre accessibili a tutti. Molte sono state le persone che hanno partecipato attivamente alle nostre iniziative, creando i presupposti per la costruzione di progetti che non rimanessero tali ma si traducessero in un lavoro radicato e duraturo nel tempo.
Eppure in 3 anni di occupazione il Csoa La Torre ha subito continui attacchi: inizialmente la Magistratura, nella persona del giudice Amato pilotato in maniera evidente da AN, ha ordinato lo sgombero violento, al seguito del quale 85 compagn@ sono stati identificat@ e denunciat@. In quella circostanza (11 luglio 95), Il comune e la quinta circoscrizione, ipocritamente espressero una dura condanna nei confronti dell’azione della Magistratura assicurando agli occupanti la rapida assegnazione dllo stabile. A istanza di 2 anni lo stesso comune ha emesso un’ordinanza di sgombero nei confronti del CS (gennaio 97) adducendo come motivazione l’esistenza di un vincolo architettonico stabilito dalla Sovraintendenza dei Beni Culturali (decreto del 27.4.97) che ha affidato la tutela dell’edificio al comune. Dopo la mobilitazione da parte degli occupanti, il comune ha sospeso temporaneamente l’ordinanza. Il vincolo dei Beni Culturali impedisce ogni intervento di ristrutturazione da parte degli occupanti. Essendo il comune proprietario e tutore dello stabile e dovendo garantire (legalmente) la ristrutturazione, utilizza lo stesso vincolo come motivazione per togliere di mezzo gli occupanti. Appare chiara la “tela di ragno” che comune e istituzioni hanno nel tempo tessuto, andando a creare una situazione che di fatto avrebbe come unico sbocco la cessazione delle attività dell Torre.
Per l’ennesima volta il comune si sottrae alle proprie responsabilità, come ha già fatto in passato, andando ad affrontare il discorso della Delibera 26, come una serie di casi singoli e non come riconoscimento politico dell’esperienza dei CS, creando divisioni e fratture.
Nel nostro caso il comune, pur avendo affermato la volontà ed avendone avuta la possibilità politica (del. 26) di farlo, non ha proceduto all’assegnazione dello stabile al collettivo che da 3 anni ci lavora, dilatando volutamente i tempi; infatti con l’apposizione del vincolo, il comune è riuscito a sottrarsi di fatto al proprio ruolo di referente politico, ponendoci di fronte ad un bivio:
ordinanza di sgombero effettuata dalla Magistratura sotto richiesta della Sovraintendenza Statale o l’assegnazione di un posto alternativo.
Il comune con la proposta di un posto alternativo, cerca di sanare in modo strumentale un conflitto che si verrebbe a creare.
Pur non credendo che tale proposta sia un riconoscimento politico, pensiamo che ad oggi una difesa del posto sia impraticabile, in quanto non esistono né margini di trattativa né una reale potenzialità di mobilitazione da parte dei CS e delle altre realtà autorganizzate romane; inoltre metterebbe a rischio la posizione legale già compromessa dei compagni denunciati nel luglio 95.
Due prospettive ci si sono poste davanti:
rifiutare qualsiasi confronto con un comune responsabile del degenerare la nostra situazione, con un conseguente arresto temporaneo delle attività del CS in previsione di una nuova occupazione, oppure accettare la trattativa per consentire la continuità immediata del nostro lavoro e dei nostri progetti.
Tra queste due prospettive così contrastanti, il Collettivo, a seguito di un ampio e conflittuale dibattito interno, crede che l’aprire una trattativa sia in questo momento l’unica modalità per salvaguardare 3 anni di attività politica e culturale.

L’ASSEMBLEA DI GESTIONE DELLA TORRE